America Latina, il prossimo centro di gravità della guerra economica sino-americana prima del 2030
GEAB 180 / DIC. 2023
#americalatina #Cina #finanza #geopolítica #governance #statiuniti
Il 1° gennaio 2024, l’Argentina sarebbe dovuta entrare nel blocco dei BRICS, circondata da Iran, Egitto, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti[1]. Tuttavia, l’elezione di Milei alla presidenza ha bruscamente invertito la traiettoria diplomatica del Paese, con una svolta filoamericana molto marcata, incarnata dalla volontà di dollarizzare l’economia. Tale scelta implica il rifiuto dei BRICS[2], dei quali uno degli obiettivi principali è quello di invertire il dominio del dollaro. Sebbene i BRICS+ abbiano anche lo scopo di dare voce ai Paesi emergenti e di recente sviluppo in un mondo finalmente multipolare, questa adesione abortita incarna lo spostamento del centro di gravità della guerra sino-americana verso l’America centrale e meridionale. Il risultato è, da un lato, il declino del dominio degli Stati Uniti sul continente[3] e, dall’altro, l’inarrestabile attivismo della Cina che, dopo aver conquistato il cuore di molti Paesi del mondo, o almeno averne comprato la passività alla sua offensiva economica, sta ora cercando di accattivarsi i favori di un nuovo continente[4].
Per Africa, Europa, Asia e Oceania il dado è già tratto. In queste regioni si distinguono tre “blocchi”[5]. Un blocco esiguo che sostiene gli Stati Uniti, in particolare l’Oceania. Un secondo blocco, senza dubbio il più grande, caratteristico di un mondo multipolare, che cerca di trovare un equilibrio tra le due potenze. Infine, c’è un blocco consistente che si è schierato con la Cina. L’attuale equilibrio mondiale dimostra che il potenziale economico della Cina rimane immenso, nonostante le difficoltà interne e internazionali che deve affrontare[6]. Gli americani stanno quindi lottando per preservare la loro sempre più contestata egemonia, ma soprattutto per rallentare il definitivo successo della Cina nella guerra economica che prima o poi arriverà.
Il ruolo degli Stati Uniti come gendarme del mondo è stato definitivamente minato dall’inizio del secolo, in particolare con il catastrofico intervento in Iraq e il successivo ritiro dall’Afghanistan. D’altra parte, i conflitti e le crisi si moltiplicano, con la guerra in Ucraina che si sta impantanando[7], la nuova guerra israelo-palestinese che sta violentemente lacerando l’opinione pubblica occidentale e imponendo delicate posizioni diplomatiche[8]. In un mondo così complesso, gli Stati Uniti devono anche affrontare gravissimi problemi interni, sia dal punto di vista sociale che, soprattutto, delle elezioni presidenziali del 2024, che potrebbero essere l’atto finale del crepuscolo della più antica democrazia del mondo, il cui declino è stato rivelato dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2016. Di fronte a questa complessità, gli Stati Uniti non hanno più la capacità di moltiplicare i propri fronti. L’approccio involutivo adottato da Donald Trump durante il suo mandato appare sempre più come una necessità piuttosto che come una scelta. Di conseguenza, gli americani dovranno concentrarsi su un unico fronte nella guerra economica sino-americana. La vicinanza geografica dell’America Latina rende quest’area di competizione con la Cina più accessibile di qualsiasi altra. Tra i vari blocchi che hanno già preso posizione nella guerra economica, questo subcontinente rimane difficile da classificare ed è al centro del gioco di seduzione di questa guerra economica.
È in questa vasta regione che i due rivali nella corsa all’egemonia hanno più carte da giocare. Il rovesciamento delle sorti dell’Argentina dopo l’elezione di Milei, pochi mesi prima che l’Argentina entrasse a far parte dei BRICS+, illustra la difficoltà di definire un continente che ora è il centro di gravità di una guerra economica in corso da anni.
Figura 1 – Proiezione della bilancia commerciale cinese con l’America Latina. Fonte: America’s Quarterly
L’America Latina, il principale terreno di gioco della Cina
In Brasile, unico Stato membro dei BRICS nel continente, l’influenza è ovviamente molto forte, come dimostrano alcune delle decisioni prese da Lula, che si sta avvicinando alla Cina da un punto di vista economico, ovviamente[9], ma anche da un punto di vista politico. Questa influenza si nota quando raccomanda a Zelenski di abbandonare la Crimea a Putin, quando rifiuta di inviare munizioni all’Ucraina in nome della pace, o ancora di più quando difende la posizione di Xi Jinping come mediatore nella guerra in Ucraina[10].
Inoltre, sostiene la tesi di Pechino “Una sola Cina”, riconoscendo Taiwan come parte integrante della Cina continentale. Dal punto di vista economico, la Cina è un partner cruciale per l’economia brasiliana. Nel 2018, il 26,7% delle esportazioni brasiliane è stato destinato al mercato cinese, mentre le importazioni dalla Cina hanno rappresentato oltre il 19% delle importazioni totali[11]. Tuttavia, l’era di Bolsonaro ha danneggiato non poco le relazioni tra le due potenze, in quanto lo stesso Bolsonaro ha saputo destreggiarsi con le teorie di alcuni elettori che denunciavano il comunismo cinese e con i timori che i prodotti cinesi in arrivo sul mercato potessero costituire una forma di concorrenza sleale rispetto ai prodotti nazionali[12]. Senza ripetere direttamente queste diatribe, il presidente Bolsonaro ha reso difficili i rapporti con Pechino denunciandone la responsabilità nella crisi sanitaria del Covid[13]. Gli elettori di Bolsonaro ci sono ancora e il loro peso nel Parlamento di Brasilia potrebbe indirizzare il Brasile di Lula verso una collaborazione più cauta con la Cina.
In Argentina, alla vigilia delle elezioni presidenziali, il candidato in carica ha firmato uno swap valutario da 6,5 miliardi di dollari con la Cina[14], che permetterà al governo di intervenire più efficacemente sui mercati e di cercare di superare l’inflazione galoppante[15]. Questa collaborazione economica con la Cina era il modo migliore per ridurre la dipendenza del Paese dagli Stati Uniti. Un altro esempio di questa mano tesa verso la Cina è, ovviamente, il desiderio di entrare a far parte dei BRICS+, che alla fine non si concretizzerà con l’arrivo al potere di Milei. Il nuovo presidente argentino è in netta controtendenza e sostiene la dollarizzazione dell’economia del Paese[16]. È certo che la sua politica sarà molto meno orientata verso la Cina di Xi Jinping che verso gli Stati Uniti, il che potrebbe creare un’opportunità per gli USA di rafforzare i propri legami con uno dei giganti economici del continente. L’Argentina è quindi un esempio del braccio di ferro sino-americano dall’esito incerto, poiché a seconda della situazione politica e degli interessi del momento, gli interessi dell’Argentina oscillano tra Nord America e Cina. Sia il Brasile che l’Argentina offrono a Washington l’opportunità di contrastare l’avanzata della Cina. Ma queste opportunità non si limitano a questi due Stati.
In Venezuela, il sostegno di Maduro alla Cina e alla Russia è estremamente forte, anche perché la Cina ha iniettato miliardi nel Paese[17]. Questa stretta relazione è evidente nelle dichiarazioni di Nicolas Maduro. Egli è un grande sostenitore della causa del Terzo Mondo e afferma: “Penso che il percorso proposto dal presidente Xi Jinping unisca i popoli in tutti i settori – economia, commercio, cultura – e ponga le basi per lasciarsi alle spalle il vecchio mondo del colonialismo e dell’imperialismo”. Egli rifiuta inoltre fermamente l’imperialismo americano, in particolare quello al centro della crisi di Covid[18]. Un altro evento particolarmente interessante è stato il tentativo di annessione di un’intera regione, particolarmente ricca di petrolio, appartenente alla Guyana[19].
La controversia è stata persino portata davanti alla Corte internazionale di giustizia dalla Guyana, che teme un’invasione da parte del Venezuela, che sta ammassando le truppe al suo confine. Sebbene la CIG abbia ordinato al Venezuela di mantenere lo status quo in attesa di una sentenza della Corte[20], un’invasione è possibile, anche se alcuni esperti prevedono che il conflitto si impantani[21]. Tale invasione porterebbe a un certo isolamento del Venezuela. Gli Stati Uniti non sarebbero ovviamente in grado di intervenire in sua difesa, e di certo non lo vorrebbero. La Cina, da parte sua, avrebbe poco interesse a difendere l’invasione e sarebbe più propensa a giocare la carta del mediatore a sostegno del Brasile. Quest’ultimo non vorrebbe che gli Stati Uniti approfittassero della situazione, ad esempio installando basi militari al confine con la Guyana, assistenza che il piccolo Paese ha espressamente richiesto. Allo stesso tempo, la Cina non vuole permettere una simile violazione della sovranità e ha schierato parte del proprio esercito, sfruttando l’evento per affermare la posizione di leader nel continente. Sarà quindi difficile per la Cina approfittare della crisi difendendo la propria aggressione senza rischiare di minare l’unione dei BRICS, ma potrebbe, al contrario, approfittarne per rafforzare l’unità dei BRICS. Gli Stati Uniti, da parte loro, potrebbero sfruttare la crisi per avvicinarsi al Brasile giocando la carta della diplomazia.
Tuttavia, è difficile non pensare che le due potenze del continente americano non stiano entrando in un gioco di competizione per l’influenza, e sicuramente si contenderanno la posizione di mediatore. Alla fine saranno i BRICS a spuntarla, assumendo il ruolo di gendarme del mondo[22], perché se Maduro è molto virulento contro gli Stati Uniti e non accetta i tentativi di Washington di farlo ragionare, potrebbe essere costretto a sottoporsi all’arbitrato dei BRICS che, uniti dietro al Brasile, chiederebbero la pace. In questo modo, la Cina potrebbe utilizzare il suo sostegno alla mediazione brasiliana come mezzo per riaffermare l’unità dei BRICS, rafforzando al contempo la propria influenza sul continente. Questo esempio di crisi illustra chiaramente che i vari Stati del continente non hanno ancora preso una decisione e che sia la Cina che gli Stati Uniti possono ancora giocare sulla loro influenza.
Figura 2 – Mappa che mostra le potenziali dispute territoriali e le riserve petrolifere offshore scoperte di recente. Fonte: Le Monde
A parte la questione della potenziale invasione di una regione della Guyana, la Cina ha interessi molto forti in Venezuela. Tuttavia, dobbiamo guardare alle elezioni presidenziali in Venezuela nel 2024. La liberale Maria Corina Machado ha appena vinto le primarie dell’opposizione. Ineleggibile per il regime autoritario, rappresenta l’ala più radicale dell’opposizione, segno che l’opinione pubblica rimane divisa[23]. I leader dell’opposizione del Paese sono ancora attivamente sostenuti dagli Stati Uniti. Se il Venezuela dovesse subire la stessa sorte dell’Argentina, il nuovo capo di Stato potrebbe avere l’idea di non rimborsare i debiti cinesi, uno dei principali rischi della Cina al progetto delle Vie della Seta[24]. In tal caso, questo nuovo governo non potrebbe fare a meno dell’appoggio degli Stati Uniti, che sarebbero ben lieti di accoglierlo, e un nuovo Paese del subcontinente potrebbe passare dalla parte della Cina.
L’Ecuador è forse il Paese che più dipende dalla benevolenza cinese. La Cina ha investito molto nel Paese in cambio di petrolio[25], anche se si trova sotto la foresta amazzonica, e una parte significativa di essa potrebbe dover essere rasa al suolo per ottenere l’accesso[26]. Gli investimenti cinesi hanno messo il Paese in una posizione difficile, spingendo l’Ecuador a rinegoziare il proprio debito[27]. Ma la dipendenza dell’Ecuador dalla Cina non riguarda solo gli investimenti petroliferi, come dimostra il tweet del Presidente del 3 gennaio 2023: “Buone notizie per iniziare il 2023. I negoziati dell’accordo di libero scambio tra Cina ed Ecuador si sono conclusi con successo. Le nostre esportazioni beneficeranno di un accesso preferenziale al più grande mercato del mondo e le nostre industrie potranno acquistare macchinari e fattori produttivi a costi inferiori”[28].
L’Ecuador sembra quindi essere il Paese la cui vicinanza alla Cina, a scapito degli Stati Uniti, è la più irrevocabile. Ma i debiti della Cina fanno spesso sprofondare i Paesi mutuatari nell’inflazione, la quale contribuisce alla destabilizzazione economica e quindi politica. L’influenza degli Stati limitrofi all’interno dell’America Latina è reale e l’ombra di Washington continua a incombere, soprattutto grazie all’indispensabile sostegno nella lotta al narcotraffico nel Paese[29]. L’instabilità politica che ne deriva non va sottovalutata. Le elezioni del 2023 si sono tenute in seguito all’impeachment del Presidente in carica e sono state segnate dall’assassinio del candidato favorito. Una nuova elezione è prevista per il 2025, quindi non si possono escludere rovesci di fortuna[30].
Gli americani hanno ancora un’ultima carta da giocare: il rapporto storico e privilegiato con il Messico[31]. Questa relazione è stata ulteriormente rafforzata dalla guerra economica sino-americana, con il Messico che è recentemente diventato il primo partner economico degli Stati Uniti davanti alla Cina[32], primo vincitore delle tensioni tra i due giganti[33]. La Cina ha capito chiaramente che il Messico è un luogo ideale per gli investimenti e ha approfittato delle crescenti tensioni tra Messico e Stati Uniti per rafforzare la propria cooperazione con il Paese[34]. In effetti, ciò ha permesso alla Cina di entrare nel mercato statunitense aggirando le sanzioni statunitensi nei suoi confronti.
Pur potendo contare sul sostegno del Messico in America Latina, gli Stati Uniti hanno preferito giocare la carta della rottura, rinegoziando l’accordo economico[35] che avevano sotto la spinta di Trump, che lo ha denunciato come il peggior accordo della storia[36], iniziando contemporaneamente la costruzione di un muro che sarebbe stato portato a termine da Biden, pur essendo un democratico[37]… Questo muro è stato sostenuto dal presidente messicano come aiuto nella lotta all’immigrazione, ma l’installazione di una diga di boe galleggianti al confine da parte di alcuni governatori americani come Greg Abbott ha causato tensioni, poiché questa diga non era stata posta sul confine, ma in territorio messicano[38].
In America Latina sono stati chiaramente identificati due fenomeni. Da un lato, l’influenza della Cina sta crescendo in tutti i Paesi della regione, non solo attraverso investimenti diretti, ma anche attraverso prestiti, contratti e la creazione di saldi commerciali molto favorevoli. Dall’altro lato – e i due fenomeni si rafforzano a vicenda – un disimpegno da parte degli Stati Uniti, che dall’era Trump si concentra su gravi problemi interni, tensioni tra comunità e l’aumento del razzismo[39].
Gli Stati Uniti si sveglieranno presto per rallentare l’inesorabile vittoria della Cina
Gli Stati Uniti sanno che per mantenere lo status di potenza devono avere l’appoggio dei loro alleati e devono ispirarsi alla strategia di seduzione della Cina. L’unico dubbio è se il suo ritorno attivo sulla scena regionale latinoamericana avverrà abbastanza presto per contrastare il trionfo economico della Cina. Washington potrebbe avere in mano le carte per ribaltare la situazione, almeno in alcuni Paesi della regione.
Tuttavia, gli Stati Uniti devono rendersi conto che Taiwan non è la priorità per resistere all’influenza cinese e che l’abbandono del ruolo di gendarme mondiale li spingerà in questa direzione. È vero che le industrie di Taiwan sono essenziali per la produzione di microchip, essendo leader in questo campo[40]. Tuttavia, un attacco da parte di Taiwan sembra altamente improbabile. Da un lato, sarebbe un enorme colpo umano e materiale per la Cina proiettare una forza navale e aerea verso un territorio geograficamente fortificato da grandi scogliere e con buone capacità di difesa[41]. E poi, è solo nell’interesse della Cina, quando la cattura di Taiwan rischierebbe di gettare un’ombra sulle sue relazioni con tutti i Paesi della regione che possiedono anch’essi isole contese con la Cina?
Figura 3 – Confronto tra i principali produttori di semiconduttori al mondo per fatturato. Fonte: FxPro
Inoltre, lo “scudo di silicio” sembra rassicurare i taiwanesi, pochi dei quali temono un’invasione cinese. In effetti, il monopolio virtuale di Taiwan sui microchip la rende un’isola che non può essere attaccata senza conseguenze economiche drammatiche, anche per l’economia cinese[42]. Non possiamo dire con assoluta certezza che non ci sarà un’invasione di Taiwan, ma i cinesi stanno attualmente affrontando alcuni problemi interni piuttosto seri[43], quindi possiamo essere certi che, qualunque cosa decida Xi Jinping, un’invasione di Taiwan rimane improbabile e non è certamente in programma. È più probabile che le prossime elezioni a Taiwan portino a un’inversione della strategia dell’isola.
Alla fine, Taiwan potrebbe stancarsi di resistere alla Cina e tornare più o meno rapidamente al suo ovile. Allo stesso modo, nel conflitto tra Israele e Palestina, gli Stati Uniti dovrebbero capire rapidamente che è difficile sostenere ciecamente gli israeliani nella loro vendetta. L’opinione pubblica internazionale è colpita dai crimini di guerra commessi da Israele ed è anche solidale con la prigione a cielo aperto che Gaza è stata per molti anni sotto l’embargo israeliano. Allo stesso tempo, i filo-israeliani hanno un’influenza molto forte a Washington, il che rende difficile invertire il sostegno dato agli israeliani. È quindi certamente nell’interesse di Washington ritirarsi da questi conflitti, almeno in parte, e concentrarsi sull’America Latina.
Questo continente è la chiave per resistere il più a lungo possibile ai cinesi. Partendo dal presupposto che Washington non potrà ignorare questo stato di cose, stiamo individuando misure concrete che possono essere applicate sia da un’amministrazione repubblicana che da una democratica. Non c’è dubbio che repubblicani e democratici condividano l’interesse a resistere alla Cina il più a lungo possibile. Ma saranno in grado di adottare misure efficaci per soddisfare i rispettivi elettorati? È abbastanza probabile. Se i repubblicani vinceranno le elezioni presidenziali del 2024, è possibile che Donald Trump arrivi alla Casa Bianca per la seconda volta, dato che ha un enorme vantaggio sugli avversari nelle primarie repubblicane. Potrà quindi parlare facilmente con le popolazioni fortemente nazionaliste dell’America Latina e con i leader che senza dubbio riusciranno ad andare al potere seguendo l’esempio di Milei in Argentina[44]. Sulla base di un rifiuto cospiratorio e ultraliberale degli interessi cinesi, potrà incoraggiarli ad allontanarsi dalla Cina, che denunceranno come unica responsabile della cattiva situazione economica (anche se questi problemi sono ovviamente multifattoriali).
Allo stesso modo, se un leader democratico salirà al potere, anche se è improbabile dopo l’impopolare presidenza di Joe Biden, comprenderà la posta in gioco in America Latina. Tuttavia, la sua leva d’azione nel subcontinente non sarà ovviamente il sostegno a personaggi come Milei o Bolsonaro. L’azione comporterà il sostegno alle economie in difficoltà e un cambiamento della posizione dei Democratici sull’immigrazione. Joe Biden, nel suo tentativo di conquistare gli elettori di centro-destra, ha puntato troppo sul rafforzamento delle frontiere, rischiando crisi diplomatiche con i vicini per continuare la costruzione del muro del suo predecessore Trump. Inoltre, la struttura federale degli Stati Uniti lascia ai governatori un margine di manovra eccessivo quando si tratta di controllare i confini, come dimostra il caso delle boe galleggianti dotate di seghe circolari installate in territorio messicano su ordine del governatore Greg Abbott[45]. Il governo democratico potrebbe inoltre valorizzare la facilità di accesso al mercato statunitense intensificando la lotta al protezionismo economico, consentendo così alle imprese latinoamericane di esportare i propri prodotti e di sviluppare le economie del continente, senza che i lavoratori debbano viaggiare.
Sarà quindi difficile per gli Stati Uniti attuare un movimento di seduzione comune anche se un democratico diventerà presidente. In un momento in cui il populismo è in crescita, sarebbe forse consigliabile che gli Stati Uniti, se vogliono beneficiare del sostegno dei Paesi latinoamericani, sottoscrivessero altri 4 anni dell’era Trump. È chiaro che l’arrivo di Milei al potere in Argentina è il primo segnale di un riavvicinamento tra le due Americhe, segnale che diventerà realtà se Trump entrerà nuovamente alla Casa Bianca. La Presidenza attuerà sicuramente una strategia di seduzione, qualunque sia l’esito delle elezioni del 2024, ma non è detto che le congetture politiche nazionali e regionali siano favorevoli, né che questa strategia possa davvero rallentare la vittoria della Cina nella guerra economica.
Il Partenariato Trans-Pacifico è un’altra risorsa. Il Regno Unito, un fedele alleato degli Stati Uniti, lo ha ratificato nel 2023[46] e potrebbe incoraggiare il suo alleato a fare lo stesso. Tuttavia, dopo la precipitosa uscita degli Stati Uniti dall’accordo nel 2017, a causa delle forti critiche del Presidente Donald Trump[47], il trattato è stato profondamente rimodellato. Il nuovo Partenariato Trans-Pacifico, completo e progressista, si basa in gran parte sul TPP, ma rifiuta le disposizioni sulla proprietà intellettuale dei prodotti farmaceutici sostenute dagli americani. Di conseguenza, è improbabile che gli Stati Uniti ritornino a questo accordo trans-pacifico nel 2024, anche per un candidato democratico che in questo modo affermerebbe la propria opposizione a Donald Trump. Ciò richiederebbe i voti repubblicani, motivo per cui Biden non ha mai sollevato la questione[48]. Dato il peso del Grand Old Party nella vita pubblica americana, un ritorno al TPP è una questione delicata. Comunque sia, un ritorno alla partita in America Latina potrebbe essere facilitato da una firma del TPP o del nuovo accordo.
Quando gli Stati Uniti dovranno svegliarsi per rallentare la Cina?
A metà novembre, la Cina ha recentemente mostrato la volontà di riscaldare le relazioni con gli Stati Uniti, dichiarando davanti a una platea di alti dirigenti d’azienda americani a San Francisco di voler essere un partner e un amico degli Stati Uniti[49]. Una simile dichiarazione non può ovviamente passare inosservata in un contesto che da diversi anni è estremamente teso. La Cina sembra mostrare un calo di aggressività, che in realtà può essere spiegato da diversi fattori. Il primo è ovviamente il rischio di rottura dei BRICS[50]. Sebbene abbiano cercato di fare fronte comune e di non condannare espressamente la Russia per la guerra in Ucraina, sono sempre di più le questioni che li separano. L’India è uno degli esempi migliori, in quanto il Paese è uno dei giganti economici rivali della Cina. Pur essendo da tempo un partner essenziale, la Cina non ha interesse a interrompere le relazioni con l’Occidente[51] e preferisce scegliere una via di mezzo.
A questo si aggiunge il fatto che l’India e la Cina sono potenze in competizione, alle prese con dispute di confine sull’Himalaya[52] e gelose l’una dell’altra[53]. Dal punto di vista demografico, l’India si affermerà rapidamente come forza trainante dell’Asia, anche se le previsioni per la Cina entro il 2100 prevedono un rallentamento o addirittura un declino della popolazione, che sta invecchiando troppo velocemente. L’India potrebbe essere il primo Paese a superare 1,7 miliardi di abitanti tra il 2050 e il 2060[54]. Questi interessi divergenti tra India e Cina valgono anche per tutti i membri dei BRICS. Anche il Brasile e il Sudafrica sono spinti dal desiderio di mantenere una partnership americana. Questi interessi americani all’interno dell’alleanza dei BRICS rendono praticamente impossibile un’opposizione decisa agli Stati Uniti, perché indebolirebbe l’unione di questi Paesi emergenti, che in fin dei conti hanno tanto in comune quanto in differenza. Possiamo quindi ritenere che l’indebolimento dell’intensità della guerra economica sino-americana sia uno dei sintomi di questa difficoltà a mantenere l’unità dei BRICS.
Quindi, in un periodo di distensione, gli americani, qualunque sia la scelta del loro leader nel 2024, dovranno raddoppiare gli sforzi per conquistare economicamente l’America Latina? Di fronte a una Cina che vuole allentare le tensioni, è probabile che riorientare gli interessi americani verso l’America Latina non sarà un compito complesso. Infatti, con la Cina in ritirata, ostacolata nella sua azione dalla timidezza dei suoi partner BRICS, è probabile che opponga poca resistenza. Inoltre, come abbiamo già detto, l’elezione di Milei dovrebbe essere un ulteriore vantaggio per avvicinare la Cina. Tuttavia, probabilmente non sarebbe molto strategico non rispondere positivamente al primo passo di Xi Jinping.
Non è nell’interesse degli americani cambiare bruscamente atteggiamento nei confronti dell’America Latina, né approfittare della mano tesa della Cina per contrattaccare, come se si tirasse a scherma contro uno schermidore che ha abbassato la guardia. Al contrario, gli americani dovrebbero riconsiderare il continente alla luce dei loro interessi economici, evitando le questioni controverse. In ogni caso, questo è l’unico approccio possibile. Anche se volessero convincere i Paesi latinoamericani a schierarsi dalla loro parte nella guerra sino-americana, non ci riuscirebbero, perché molti Paesi sono troppo dipendenti dalla Cina, anche una volta che la sua offensiva è stata sospesa. I prestiti che stanno indebitando i Paesi non scompariranno così rapidamente e i Paesi che hanno aderito ai BRICS non hanno alcun interesse a lasciare questa associazione con la Cina. L’attaccamento dei Paesi membri all’associazione BRICS+ sarà ancora più forte ora che la Cina sta mostrando la volontà di allentare le relazioni con gli americani. Infine, in un momento così grave per le relazioni internazionali gli Stati Uniti non possono concentrare tutti i loro sforzi sull’America Latina. Il conflitto in Ucraina è sempre più preoccupante e il fallimento della controffensiva non fa ben sperare i sostenitori del diritto internazionale. Allo stesso modo, la guerra tra Israele e Hamas in Medio Oriente sta occupando le menti degli occidentali, e degli americani in particolare.
Gli Stati Uniti non avranno altra scelta che coltivare gli interessi che li legano ai Paesi dell’America Latina, pur rendendosi conto che l’attaccamento cinese durerà. Di conseguenza, questo continente rimarrà al centro delle tensioni economiche sino-americane. Inoltre, se questa guerra economica dovesse tornare ad essere attiva, dato che la fase di distensione avviata dai cinesi difficilmente durerà per sempre, l’America Latina sarebbe davvero al centro delle tensioni. Anche se l’America Latina non fosse la causa della potenziale rinascita di questo conflitto economico, è certo che è in queste terre che i nostri due rivali hanno le loro principali carte da giocare.
Prevediamo quindi che, nonostante l’America Latina non diventi la priorità ufficiale della prossima amministrazione statunitense, la sua importanza diventerà sempre più evidente nei prossimi anni, a maggior ragione se la distensione avviata nella guerra sino-americana sarà solo temporanea. Questo periodo di calma non è altro che un periodo di preparazione per un’improvvisa ripresa della guerra economica.
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[1] Fonte: Courrier International, 25/08/2023
[2] Fonte: Deutschlandfunk, 08/12/2023
[3] Fonte: Réseau International, 22/12/2013
[4] Fonte : L’Express, 18/04/2023
[5] Nel termine “blocco” riecheggia ovviamente la guerra fredda, ma la situazione è molto più complessa. Non ci sono due blocchi contrapposti ma un terzo non allineato, che corrisponde in linea di massima ai Paesi del Sud. I blocchi ci sono, ma l’analisi va fatta caso per caso, perché gli interessi di ciascun Paese sono molto diversi.
[6] Fonte: Edizione speciale GEAB, 15/08/2023
[7] Fonte : Le Monde, 26/10/2023
[8] Fonte: Ahram Info, 16/11/2023
[9] Fonte: Le Figaro, 11/04/2023
[10] Fonte: Le Monde, 12/04/2023
[11] Fonte: Articolo di Emmanuel Lincot, professore all’Institut Catholique de Paris, “Cina-Brasile: sfide multiple”.
[12] Fonte: IstoéBrésil, 22/11/2020
[13] Fonte: Les Echos, 10/05/2021
[15] Fonte: The Conversation, 14/02/2023
[16] Fonte: Le Monde, 18/10/2023
[17] Fonte: France 24, 08/02/2019
[18] Fonte: Le Figaro, 24/09/2020
[19] Fonte: Le Monde, 03/12/2023
[20] Fonte: Comunicato stampa della CIG, 01/12/2023
[21] Fonte: Le Parisien, 04/12/2023
[22] Sul tema del rafforzamento dell’influenza diplomatica dei BRICS, si veda il GEAB n. 177 del settembre 2023.
[23] Fonte: France 24, 23/10/2023
[24] Fonte: Capital, 14/02/2019
[25] Fonte: France Info, 21/11/2016
[26] Fonte: Courrier International, 09/06/2020
[27] Fonte: Le Figaro, 26/01/2022
[28] Fonte: Osservatorio francese Nuove Vie della Seta, 26/04/2023
[29] Fonte: Courrier International, 16/01/2023
[30] Fonte: La Croix, 16/10/2023
[31] Fonte: Messico: tra Cina e integrazione nordamericana, nel libro pubblicato nel 2019.
[32] Fonte: Courrier International, 12/09/2023
[34] Fonte: Notizie francesi, 31/10/2023
[35] Fonte: Le Monde, 11/12/2019
[36] Fonte: Le Monde, 27/01/2017
[37] Fonte: Les Echos, 25/01/2022
[38] Fonte: France Info, 10/08/2023
[39] Fonte: Le Point, 31/08/2021
[41] Fonte: Radio-Canada, 25/07/2022
[42] Fonte: Le Soir, 19/12/2022
[43] Fonte: Edizione speciale GEAB, 15/08/2023
[44] Gli ammiccamenti su X tra Javier Milei ed Elon Musk sono istruttivi su questo tema e in vista delle elezioni americane. Fonte: Notizie AP, 05/12/2023
[45] Fonte: France Info, 10/08/2023
[46] Fonte: Le Monde, 16/07/2023
[48] Fonte: Nikkei Asia, 01/04/2021
[49] Fonte: Les Echos, 16/11/2023
[50] Fonte: IRIS Francia, 16/11/2023
[51] Fonte: Le Monde, 22/06/2023
[53] Fonte: Radio France, 18/01/2023