Stiamo vivendo un periodo di cinismo storico che ci costringe a vedere una serie di microconflitti e la loro scia di morti e spostamenti di popolazione come sforzi per costruire una pace duratura.
Pensiamo ovviamente alla guerra tra Israele e Hamas (“micro” perché territorialmente limitata a Gaza) ma anche al recente disarmo/spostamento degli armeni del Nagorno-Karabakh (100.000 sfollati)[1]. Mentre il futuro rimane incerto in Medio Oriente, nel Caucaso meridionale la strada per la pace assomiglia sempre più a un’autostrada – come anticipato nell’articolo del giugno 2022[2]. L’Armenia e l’Azerbaigian si sono appena scambiati i prigionieri come segno di risoluzione delle tensioni[3]. Meglio ancora, l’Armenia ha appena dato un importante sostegno alla candidatura dell’Azerbaigian per ospitare la COP29, ritirando la propria candidatura[4].
Uno di quelli che chiamiamo i “bulloni della pace” sembra essere sparito e i due Paesi ora non parlano d’altro che di costruire le loro relazioni economiche nel più ampio contesto dell’integrazione della regione del Caucaso meridionale[5] … proprio come hanno fatto gli europei dopo essersi uccisi a vicenda come nessun altro al mondo. E quando il Presidente Aliyev parla del ritorno degli azeri a Yerevan, intende turisti e commercianti che viaggiano nella regione come prima[6].
Tutto questo è stato possibile perché le grandi potenze erano impegnate altrove e i due Paesi hanno potuto negoziare lontano dalla comunità internazionale. Infatti, la dichiarazione congiunta che Armenia e Azerbaigian hanno appena firmato per porre fine a 35 anni di conflitto[7] è avvenuta “senza intermediari”[8]. L’unico intoppo nel processo di pace bilaterale si è verificato quando la Francia ha inviato armi (da difesa) agli armeni, provocando l’ira del Presidente Aliyev, che ha chiesto alle potenze non regionali di farsi gli affari propri. La spedizione di armi ha fatto seguito all’avvertimento del Segretario di Stato americano Anthony Blinken che l’Azerbaigian avrebbe potuto invadere l’Armenia[9].
Raccomandazione strategica: l’influenza globale dell’Europa di domani significa che dobbiamo mettere in discussione le nostre attuali certezze.
È davvero giunto il momento che l’Occidente si renda conto di essere sempre più screditato dal resto del mondo, che lo vede sempre più come un guerrafondaio, un commerciante di armi… e un professore, per giunta.
L’Occidente e l’Europa in particolare devono invece riconoscere che negli ultimi decenni sono emersi Stati maturi il cui interesse primario è costruire la pace nella loro regione e che, se non vogliamo trovarci alle porte delle grandi dinamiche del futuro, dovremo imparare a rimanere vigili ma anche a “lasciar correre”.
L’Europa ha del lavoro da fare in casa se vuole essere un attore globale rispettato nel XXI secolo: evolvere il proprio modello di governance, ristabilirsi nella parte luminosa della sua lunga storia, proiettare ancora una volta un esempio ispiratore di società… Per raggiungere questo obiettivo, è nell’interesse dell’Europa osservare senza giudicare ciò che accade altrove, per riconnettersi al mondo con intelligenza, curiosità e benevolenza.
I suoi punti di forza sono l’immensa diversità culturale che lo caratterizza e di cui deve imparare a essere orgoglioso e a vedere in essa tutto il potenziale di connessione con il mondo.
Probabilmente ha anche bisogno di ripensare le proprie “narrazioni nazionali” in modo che abbiano di nuovo senso per le persone che ora sono sue. E piuttosto che battersi il petto sul proprio passato coloniale, deve iniziare a guardarlo come la storia condivisa – fatta di luci e ombre – che può riconciliarci all’interno dei nostri Paesi e al di fuori di essi.
Di fatto, questa diversità culturale europea blocca qualsiasi politica estera che non sia neutrale. Per non parlare del quadro dell’UE, che impedisce qualsiasi sforzo di schierarsi.
Quindi, dopo tutto, accettiamo di essere il nano geopolitico che siamo accusati di essere – evitiamo semplicemente di diventare il giocattolo di altre potenze, qualunque esse siano – e facciamolo al meglio, con lo sguardo rivolto al mondo e al 2040.
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[3] Fonte: AlJazeera, 13/12/2023
[5] Fonte: AzerNews, 04/12/2023
[6] Questo commento proviene dall’ambasciatore azero a Parigi.
[7] La crisi del Nagorno-Karabakh è iniziata nel 1988 con il voto secessionista degli armeni della regione, voto mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Fonte: The Guardian, 27/09/2023
[8] Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, 12/12/2023